La mobilità dei lavoratori provenienti dagli Stati membri dell’Unione europea dell’Europa centrale e orientale verso i ’vecchi’ Quindici ha avuto sostanzialmente effetti positivi. Lo assicura la Commissione europea, in una relazione sulle conseguenze della libera circolazione dei lavoratori dopo l’allargamento dell’Unione nel 2004. Infatti, i lavoratori dei dieci nuovi Paesi membri hanno contribuito a colmare lacune del mercato del lavoro e a un migliore risultato economico in Europa. In particolare, i Paesi che, dopo il maggio 2004, non hanno applicato restrizioni (Regno Unito, Irlanda e Svezia) rilevano una forte crescita economica, una caduta della disoccupazione e un aumento dell’occupazione. Riguardo ai 12 Paesi della Ue che, invece, ricorrono a disposizioni transitorie, i lavoratori si sono inseriti senza difficoltà nel mercato del lavoro se sono riusciti ad accedervi legalmente. Tali Paesi, tuttavia, subiscono una serie di effetti collaterali indesiderabili, osserva la Commissione, come elevati livelli di lavoro nero e di occupazione indipendente fittizia. Per la Ue nel suo insieme, comunque, i flussi di lavoratori sono stati piuttosto limitati. Le statistiche della relazione, fornite dagli stessi Stati membri della Ue, infatti, indicano che il flusso di lavoratori dall’Europa centrale e orientale è stato inferiore al previsto. Non è provato un aumento del numero di lavoratori o della spesa di assistenza sociale dopo l’ampliamento rispetto ai due anni precedenti. E, in tutti i Paesi, i cittadini dei nuovi Stati membri rappresentano meno dell’1% della manodopera, ad eccezione di Austria (1,4% nel 2005) e Irlanda (3,8 % nel 2005). I flussi di lavoratori immigrati relativamente più consistenti si registrano verso l’Irlanda, dove hanno rappresentato - sottolinea la Commissione - “un fattore importante dei lusinghieri risultati economici”. I lavoratori della Ue-10 sono muniti di qualifiche molto richieste e, secondo la ’Relazione sul funzionamento delle disposizioni transitorie’, la percentuale di personale non qualificato è molto inferiore al suo equivalente nazionale. Secondo la relazione, dunque, le restrizioni nazionali non hanno ripercussioni dirette sui movimenti dei lavoratori e non esistono legami diretti tra ampiezza dei flussi migratori dai nuovi Stati membri e disposizioni transitorie in vigore. In definitiva, i flussi migratori sono guidati da fattori dovuti alle condizioni della domanda e dell’offerta. Tanto è vero che sono stati rilasciati molti permessi di lavoro per attività di breve durata o stagionali. Per questo, pur riconoscendo il pieno diritto degli Stati membri di servirsi anche in futuro di disposizioni transitorie, Vladimir Spidla, commissario europeo per l’Occupazione, gli Affari sociali e le Pari opportunità, raccomanda tuttavia ai partner di esaminare attentamente la necessità di mantenere le disposizioni stesse, alla luce dell’andamento dei loro mercati del lavoro e dei dati di questa relazione, che sarà presentata ora al Consiglio europeo. “La libera circolazione dei lavoratori - afferma - è una delle quattro libertà fondamentali della Ue. Questa relazione mostra chiaramente che la libera circolazione dei lavoratori non ha turbato il mercato del lavoro della Ue a 15. Al contrario, i singoli Paesi e l’Europa nel suo insieme ne hanno beneficiato”. Per saperne di più visita il sito LabItalia
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