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Censis: rallenta mobilità sociale e ristagna ceto medio
09/06/2006 NP-2971

La mobilità sociale, ossia la possibilità di innalzare la propria condizione sociale rispetto alle origini, nel nostro Paese, rallenta. Anzi, è vicina a una stasi che coinvolge tutti i ceti, esclusa, forse, la classe borghese-imprenditoriale.
Questo, in sintesi, uno dei principali risultati del lavoro di ricerca ’Meno mobilità, più ceti, meno classi’, presentato al Censis e realizzato nell’ambito dell’iniziativa ’Un mese di sociale’, dedicata quest’anno a ’Un’Italia articolata per ceti’. Lo studio, primo di quattro che saranno presentati con cadenza settimanale, è stato illustrato da Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis, Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, e Ketty Vaccaro, ricercatrice. “Abbiamo dedicato la ricerca ai ceti perché - spiega De Rita - non crediamo a una società articolata per classi, ma basata su processi più ‘impastati’ e dove c’è solo un apparente cambiamento. È un’Italia dove c’è ancora il potentato di ceto”.
Negli ultimi trent’anni, dice il Censis, c’è stata “una dilatazione a dismisura del ceto medio che costituisce la destinazione quasi esclusiva della mobilità ascendente delle classi operaie” o, al contrario, il gradino inferiore a cui è scesa la classe borghese che non è riuscita a tutelare la propria posizione. Ma, avverte il Censis, si è trattato di una mobilità “basata più che altro sull’accesso allargato ai consumi” e, dunque, “apparente”.
L’unica classe che sembra essere riuscita a superare bene la posizione delle generazioni successive è quella borghese-imprenditoriale. Mentre non può dirsi lo stesso per la classe borghese-professionale e per quella intellettuale, i cui figli, secondo la ricerca del Censis, hanno conosciuto “processi di mobilità discendente”. Il tipo prevalente di mobilità in ascesa ha riguardato il 21,9% degli italiani occupati. In pratica, un lavoratore su 5 fra quelli appartenenti al ceto medio aveva il padre operaio. Secondo il Censis, si tratta di una mobilità sostenuta soprattutto dallo spostamento delle energie produttive dall’industria al terziario. Il 40,8% degli occupati è invece statico, poiché si colloca nella stessa classe occupazionale del padre. E, fra questi, ben il 20,6% è rappresentato da occupati che restano fermi nella classe operaia. Il 12,2% dei lavoratori ha avuto spostamenti all’interno delle varie classi intermedie (piccola borghesia urbana, agricola e classe media impiegatizia). Per il 15,3% dei lavoratori, invece, il trend è stato discendente: per il 10,2% dei casi si è trattato di figli delle classi intermedie oggi nella classe operaia, e per il 5,1% di figli di borghesi ’scesi’ nelle classi intermedie. È soprattutto nella forte differenziazione dell’accesso alle opportunità formative che probabilmente si nota l’elemento più concreto di scarsa mobilità sociale. Infatti, dice il Censis, la possibilità di accedere all’università rimane appannaggio esclusivo delle classi più alte. Sono studenti il 18,1% dei maggiorenni figli della borghesia contro il 4,1% dei figli della classe operaia. “Questi dunque - si legge nel rapporto - si trovano ad affrontare una serie di ostacoli preliminari anche solo per poter provare a investire le loro risorse, le loro capacità in un’aspirazione di scalata sociale”.
Per saperne di più LabItalia

smile99

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