Nel 2005 in Italia operano 94.633 titolari d’impresa stranieri, a fronte dei 71.843 dell’anno precedente. Tra il 2004 e il 2005, dunque, il numero delle imprese condotte in Italia da cittadini stranieri è aumentato del 31,7% e, senza l’apporto degli immigrati, il tasso di crescita delle imprese individuali italiane nel 2004 non sarebbe stato positivo. Sono questi alcuni dei dati contenuti nell’indagine conoscitiva sulla situazione socio-lavorativa degli immigrati nel nostro Paese (‘Valorizzare la differenza. L’integrazione degli stranieri: lavoro e impresa’) condotta dalla Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa) e presentata a Roma. La Liguria, si legge nella ricerca, è la regione ad aver registrato la maggiore crescita (+68%), seguita da Puglia (+54%) e Toscana (+40%), mentre Milano è la prima città per numero di titolari d’impresa stranieri (17.321), Roma ne conta 13.397 e Torino ‘solo’ 8.553. Lo studio s’inserisce nell’ambito del progetto comunitario ‘Integration’ (Equal Fase II) teso a contrastare qualsiasi fenomeno legato al razzismo o alla difficile integrazione degli stranieri negli Stati ospitanti. L’iniziativa, coordinata in Italia dal ministero del Lavoro, si avvale anche dell’adesione di ‘Total Target’ (società di servizi), dello Snals (sindacato di categoria della scuola), della cooperativa sociale ‘Solidarieta’, di Upi (Unione province d’Italia), della società ‘Apulia’ e di ‘Prometeo s.a.s’. Secondo l’indagine della Cna, inoltre, Prato è la provincia con la più solida vocazione multietnica, con un numero di imprese condotte da stranieri pari al 18,8% del totale. Praticamente una ditta su 5 è guidata da immigrati. Ancora, il 41% del lavoro immigrato autonomo in Italia opera nel settore del commercio, il 31% nelle costruzioni, il 9% nei servizi e il 6% nel settore manifatturiero. I marocchini sono il gruppo più nutrito di imprenditori stranieri, seguiti da cinesi e albanesi, anche se, secondo le ultime stime fornite dal Rapporto Eurispes, sono cinesi e senegalesi a dimostrare la maggiore attitudine imprenditoriale nel nostro Paese. La maggior parte degli autonomi immigrati, inoltre, hanno un’età compresa tra i 30 e i 50 anni e stanno a capo delle cosiddette imprese “aperte”, quelle cioè che presentano scarse connotazioni etniche e si rivolgono essenzialmente alla clientela italiana. Secondo la fotografia scattata dalla Confederazione degli artigiani, inoltre, i settori privilegiati dagli imprenditori stranieri sono quelli più umili e faticosi (pulizie, trasporti, edilizia) e quelli che non richiedono investimenti particolarmente onerosi né competenze altamente qualificate. Andando, poi, a indagare sulle motivazioni che stanno alla base dell’avvio di un’attività autonoma da parte degli immigrati nel nostro Paese, si scopre che per molti si tratta di una naturale inclinazione verso l’impiego autonomo, per altri di una fuga dal lavoro dipendente e dalle sue forme più faticose e per altri, ancora, significa raggiungere un riscatto sociale e dunque una vera integrazione.
SONO + DI 15 MILA LE TITOLARI D’IMPRESA STRANIERE
Passando, poi, al settaccio i numeri relativi alle imprese artigianali guidate da immigrati, lo studio rivela che il 66% di esse opera nel settore delle costruzioni e che sono soprattutto cittadini dell’Europa dell’Est e dei Balcani a dirigerle (60-80%), seguiti da egiziani (50%) e tunisini (68%). Le attività commerciali, invece, sembrano costituire il principale sbocco imprenditoriale per i marocchini e gli asiatici e per le comunità centro-africane. L’imprenditoria cinese, infine, è fortemente attiva sia nel settore del commercio (45%) che in quello dell’abbigliamento (32%). E le donne? L’indagine dimostra che le titolari d’impresa straniere nel nostro Paese sono poco più di 15 mila e che operano soprattutto nel settore commerciale (6.966), in quello dei servizi (2.717) e nel settore tessile e dell’abbigliamento (2.271). Più contenuta, invece, la loro presenza nel commercio (18%), nei trasporti (8%) e nel comparto della lavorazione dei metalli (7%); praticamente assenti, infine, nelle costruzioni (poco più dell’1%). Il livello di coinvolgimento delle donne immigrate nel fenomeno imprenditoriale cresce notevolmente se si considera, invece, la partecipazione all’impresa in qualità di socio: più di un terzo dei soci d’impresa (37%) è, infatti, costituito da donne. Per saperne di più LabItalia
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