Un Mezzogiorno sempre più ricco di diplomati e laureati, che ha colmato il divario di scolarizzazione con il Centronord, ma anche una terra dove la formazione paga meno che altrove: a tre anni dal diploma, nel Sud, gli occupati sono il 38,9% contro il 56% del Nord e il 49,1% del Centro. Stesso ’gap’ sul fronte dei laureati: a tre anni dal conseguimento del titolo di studio, lavorano 59 giovani su 100 contro gli 82 del Centronord. E’ la fotografia che emerge dall’indagine della Svimez su ’La scuola nel Mezzogiorno tra progressi e ritardi’, presentata oggi a Roma, a Palazzo Marini. Nel 2005, calano anche i giovani occupati meridionali tra i 15 e i 34 anni (-221mila), a fronte di una crescita nazionale di 158mila unità. Mentre crescono i contratti di lavoro atipico, che toccano 2 giovani su 3. Tra i giovani che hanno trovato lavoro da un anno, il 50% è a termine, sia al Nord che al Sud. Ma al Sud e’ molto più difficile trasformare un contratto atipico in uno a tempo indeterminato: un’impresa che riesce solo a 1 su 5 (19,6%) contro il 29,4% del CentroNord. Al Sud, inoltre, 1 su 4 non si è visto rinnovare il contratto alla scadenza. Nel complesso, rispetto all’anno precedente, dice la Svimez, 3 giovani su 4 hanno peggiorato la propria posizione professionale. I nuovi emigranti Sud-Nord sono soprattutto giovani. Circa il 20% dei ragazzi meridionali sceglie di iscriversi a università del Centronord, sperando in migliori opportunità di occupazione. Ma spesso questo si rivela solo una speranza: a tre anni dal conseguimento del diploma, dice la Svimez, i laureati meridionali occupati al Nord hanno contratti peggiori dei ragazzi che non sono emigrati. Continua, inoltre, la ’fuga dei cervelli’: su 55mila giovani laureati, a tre anni solo 21mila si sono occupati nel Mezzogiorno. Sono ormai 824mila i ragazzi del Sud che al 2005 non studiano né cercano lavoro, una condizione che riguarda il 20% dei giovani e il 25% delle donne. Il numero degli inattivi è salito di 5.000 unità soltanto nell’ultimo anno. Un fenomeno inquietante, soprattutto se paragonato alla situazione del Centro-Nord, dove solo l’8% della popolazione tra i 15 e i 29 anni è inattiva. E al Sud è ancora più drammatica la condizione femminile: sul totale degli inattivi nella stessa fascia d’età (15-29 anni) 2 su 3 sono donne, pari in valore assoluto a 550mila unità, cresciute in un solo anno di oltre il 40% (+54mila). Di queste, quasi la metà è uscita dalla famiglia d’origine, nella quasi totalità dei casi per dedicarsi alle attività domestiche, mentre l’altra metà vive ancora con i genitori. Quest’ultimo gruppo finisce poi di solito per rimanere tagliato fuori dal mercato del lavoro anche in futuro, tanto è vero che sono 374mila le donne meridionali inattive nella classe d’età contigua, quella tra i 30 e 34 anni. È il diffondersi, secondo la Svimez, di “un sentimento di scoraggiamento suscitato dal deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro e la riduzione delle opportunità occupazionali”. LABITALIA
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