Nel 2004, il valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico è compreso tra un minimo del 16,6% del Pil (pari a circa 230 miliardi di euro) e un massimo del 17,7% (pari a circa 246 miliardi di euro). Nel 2000, la percentuale minima era pari al 17,7% e la massima al 18,8% (rispettivamente corrispondenti a circa 211 miliardi e a 225 miliardi di euro). Questa la stima dell’Istat, che ha diffuso i dati, aggiornati al 2004, del Pil e dell’occupazione attribuibile alla parte di economia non osservata costituita dal sommerso economico. Ossia da quell’attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e contributiva. I dati evidenziano, in particolare, che negli anni successivi alle regolarizzazioni degli immigrati si riduce la parte di valore aggiunto sommerso attribuibile al lavoro non regolare (compresa nell’ipotesi minima), mentre crescono altre forme di evasione (in parte comprese nell’ipotesi massima) come, ad esempio, i fuori busta o l’utilizzo improprio di forme di lavoro a carattere atipico (che spesso celano forme di elusione delle norme contrattuali e previdenziali).
VALORE MASSIMO RAGGIUNGE 22,1% NEL TERZIARIO
Il peso del valore aggiunto sommerso differisce in modo consistente a livello di settore di attività economica. Nell’ipotesi massima, il valore aggiunto sommerso è pari, nel 2004, al 20,5% del valore aggiunto totale del settore agricolo (5.814 milioni di euro), all’11% di quello del settore industriale (42.360 milioni di euro), mentre raggiunge il 22,1%, pari a 197.645 milioni di euro, nel terziario. L’Istat, inoltre, considera separatamente le diverse componenti della stima complessiva del valore aggiunto, riconducibili al fenomeno della frode fiscale e contributiva. Nel 2004, la quota del Pil imputabile all’area del sommerso economico (17,7%) è scomponibile in un 10,2% dovuto alla sottodichiarazione del fatturato ottenuto con un’occupazione regolarmente iscritta nei libri paga, al rigonfiamento dei costi intermedi, all’attività edilizia abusiva e ai fitti in nero, in un 6,4% dovuto all’utilizzazione di lavoro non regolare e in un 1,1% derivante dalla necessità di riconciliare le stime dell’offerta di beni e servizi con quelle della domanda.
TASSO IRREGOLARITA’ LAVORO PARI A 11,5%
Per quanto riguarda il lavoro non regolare, le nuove stime prodotte evidenziano, nel 2004, nel complesso dell’economia, circa 24 milioni e 294 mila unità di lavoro, di cui 2 milioni e 794 mila non regolari. Fra il 2000 e il 2004, la crescita del volume di lavoro ha interessato prevalentemente l’occupazione regolare, anche grazie alla crescente flessibilità dei rapporti di lavoro in termini di orario, durata e attivazione di nuove forme di contratti. Tra il 2000 e il 2004, l’input di lavoro regolare cresce del 5,9%, mentre le unità di lavoro non regolari diminuiscono del 10,2%. Inoltre, tra il 2002 e il 2003, un forte impulso alla crescita della regolarità lavorativa proviene dall’ultima sanatoria di legge a favore dei lavoratori extracomunitari occupati in modo non regolare (legge numero 189 del 2002). LABITALIA
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