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Job sharing, una formula che non attecchisce in Italia
27/07/2007 NP-3347

Decidere i propri tempi di lavoro? Si può fare, dividendo un lavoro in due con la formula del job sharing, ancora poco conosciuta in Italia. Il job sharing (letteralmente: condivisione del lavoro), o lavoro ripartito, è un contratto atipico, regolato per la prima volta in Italia nel 1998, da una circolare dell’allora ministro del Lavoro, Tiziano Treu, e poi nel 2003 dai decreti attuativi della legge Biagi. Nato intorno agli anni Sessanta negli Stati Uniti, il job sharing è “uno speciale contratto di lavoro - si legge nel testo del decreto legislativo - mediante il quale due o più lavoratori assumono in solido l’adempimento di una unica e identica obbligazione lavorativa”, suddividendosi in accordo con il datore di lavoro, in due o più fasce lavorative un lavoro a tempo pieno.
La formula del lavoro ripartito si è rivelata negli Stati Uniti e nel Nord Europa adatta e gradita sia alle imprese (si è constatato una riduzione dell’assenteismo, una maggiore motivazione e quindi un aumento delle prestazioni) sia a particolari fasce di lavoratori, le donne ad esempio, maggiormente sensibili alle esigenze familiari e, a quanto pare, più capaci di stringere legami fiduciari con il/la partner. In Italia, invece, il job sharing non ha incontrato uguale fortuna, tanto che si è parlato addirittura di una sua cancellazione dalle forme di lavoro flessibili normate. ISFOL, FORMA RESIDUALE NON RILEVABILE STATISTICAMENTE Una ricerca dell’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) sottolinea “l’indubbia residualità del job sharing tra le figure contrattuali presenti nel mercato del lavoro”. Dalle indagini effettuate, infatti, i dipendenti con un contratto di lavoro ripartito non dovrebbero superare, in tutta Italia, le poche decine. Talmente pochi che neanche l’apposita rilevazione dell’Isfol, che tasta il polso a 22 mila imprese nei settori privati extra-agricoli, anche sull’applicazione dei nuovi contratti, non ha potuto produrre stime attendibili. Insomma, i vantaggi che la formula del lavoro condiviso dovrebbe presentare (per i lavoratori più tempo a disposizione per una migliore gestione del tempo libero e più tempo da dedicare alla famiglia o allo studio, mentre per l’impresa maggiore produttività del lavoro con conseguente calo del fenomeno dell’assenteismo sul posto di lavoro) non sembrano compensare gli svantaggi. Fra questi, il fatto che il job sharing presuppone un forte legame fiduciario tra i lavoratori, in quanto il datore di lavoro può, in caso di assenza di un lavoratore, pretendere dall’altro la copertura dell’intera prestazione lavorativa. Insomma, i lavoratori contraenti, avendo la responsabilità di un unico lavoro, devono necessariamente operare ’in simbiosi’ trovandosi d’accordo su diversi fronti che vanno dalla pianificazione del lavoro ai turni da effettuare.
LABITALIA

smile99

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