giovani ricercatori dell’Isfol l’hanno chiamata ’Niente è come sembra’, come la canzone di Franco Battiato. È la ricerca, presentata a Roma sul lavoro atipico in Italia, che indaga sulla distanza fra la ’forma’ del lavoro (il contratto e le regole dell’assunzione) e la ’sostanza’ ossia le reali condizioni di lavoro. Ne risulta un quadro in cui vengono descritti con precisione i contorni della cosiddetta flessibilità, e soprattutto gli aspetti di quel mondo ancora spesso sconosciuto, che si nasconde dietro la dicitura ’lavoro parasubordinato’. Sono quasi 3,5 milioni (ovvero il 15,3% dell’occupazione) gli individui coinvolti in forme di lavoro atipiche. Fra questi, oltre 1.827.000 sono dipendenti a termine, 347.000 apprendisti e 1.277.000 parasubordinati o meglio ’finti’ autonomi (coloro che hanno la partita Iva, ma in realtà lavorano per un solo datore di lavoro, i co.co.co, i co.pro., i lavoratori a chiamata). A questa atipicità ’base’ va aggiunta, secondo alcuni analisti, la quota di part-time involontari (circa 580.000), pari al 2,6% dell’occupazione. In tutto, oltre 4 milioni di persone interessate in Italia dai lavori ’non standard’, ossia diversi dal contratto di lavoro (full o part time volontario) a tempo indeterminato. I dati provengono dalla ricerca Isfol Plus, realizzata nella seconda metà del 2006 su indirizzo della direzione generale Mercato del lavoro del ministero del Lavoro e con il contributo del Fondo sociale europeo, su un campione di oltre 40.000 individui. Lo studio propone nuovi indicatori del mercato del lavoro, capaci di far emergere sia la componente atipica dell’occupazione che l’uso improprio delle forme di impiego flessibili.
A 65% CO.CO.CO IL CONTRATTO È STATO IMPOSTO
L’Isfol sottolinea che per descrivere il mercato del lavoro non basta illustrare le diverse tipologie contrattuali che lo compongono, perché così facendo non si tiene conto dei casi di ’falso positivo’, ossia di chi formalmente appartiene a un aggregato lavorativo, ma sostanzialmente svolge un’attività in maniera difforme da quanto previsto dall’istituto contrattuale usato. Sono molteplici, infatti, i casi in cui la forma contrattuale e la natura effettiva dell’occupazione svolta non coincidono. Un caso emblematico è quello dei finti collaboratori: sebbene formalmente siano da attribuire al lavoro autonomo, sovente svolgono mansioni ed erogano prestazioni sostanzialmente del tutto analoghe a quelle di un dipendente. Ma come si fa a capire quando i co.co.co., i co.pro., i collaboratori occasionali o le partite Iva vengono impiegati secondo modalità lavorative tipicamente subordinate? Tra le caratteristiche di questi contratti, l’Isfol individua alcuni ’vincoli di subordinazione’, che consentono la valutazione della natura subordinata del rapporto di lavoro.
Ecco i dati: il contratto è stato imposto al 65% dei co.co.co., al 55% delle collaborazioni occasionali, all’81% dei co.pro. e al 7% delle partite Iva. Il datore di lavoro esclusivo (la monocommittenza) riguarda quasi l’80% dei collaboratori, piu’ della metà delle partite Iva. La presenza è un vincolo stringente per 6 co.co.co. su 10, mentre è richiesto a 7 collaboratori occasionali o co.pro. su 10; anche 20 lavoratori a partita Iva ogni 100 devono attenersi a un orario giornaliero. L’80% dei collaboratori e quasi metà delle partite Iva usano strumenti dell’azienda presso cui sono impiegati. Oltre il 60% dei co.co.co. e co.pro. ha già lavorato una volta con l’attuale committente, contro più del 50% dei collaboratori occasionali e oltre un terzo delle partite Iva. LABITALIA
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