Il dialogo sociale può aiutare l’Unione europea a far fronte alla crisi economica. La qualità delle relazioni industriali, infatti, rappresenta un fattore determinante nella gestione del cambiamento economico, riducendone i costi e aiutando lavoratori e imprese ad adattarsi, proteggendoli al tempo stesso da ‘choc’ nelle fasi di transizione. A sostenerlo è il Rapporto biennale sulle relazioni industriali diffuso dalla Commissione europea. “Buone relazioni industriali producono risultati economici e sociali positivi, sia in periodi di declino economico sia in periodi di crescita”, ha commentato Vladimir Spidla, commissario europeo per l’Occupazione, gli Affari sociali e le Pari opportunità. “La nostra strategia per la crescita e l’occupazione - ha detto - non può essere realizzata senza il coinvolgimento delle parti sociali. Le politiche in materia di condizioni di lavoro, di formazione o le politiche attive per il lavoro non possono essere solo responsabilità dello Stato né possono essere lasciate interamente all’azione del mercato. Le parti sociali possono giocare un ruolo cruciale nel determinare, spiegare e implementare tali politiche”.
Il rapporto mostra come la contrattazione collettiva continui a svolgere un ruolo importante in Europa, nonostante il lieve declino registrato nel tasso di sindacalizzazione (dal 27,4% del 2000 al 25,6% del 2005). Nel 2006, quasi i due terzi dei dipendenti europei erano coperti da un accordo collettivo. Mentre appare stabile il livello di adesione alle organizzazioni imprenditoriali. Ma emergono notevoli differenze tra i singoli Stati membri: il tasso di adesione ai sindacati varia dall’8% all’80% e quello alle organizzazioni imprenditoriali dal 20% al 100%. Mentre la copertura della contrattazione arriva al 68% dei lavoratori nella Ue dei vecchi Quindici e al 43% nei paesi che sono entrati nell’Unione nel 2004.
A livello salariale, la contrattazione sembra aver avuto un impatto sul divario di genere, sulle ineguaglianze e sulla povertà: dove il tasso di sindacalizzazione supera il 10%, le diseguaglianze salariali sono inferiori del 2% circa e un aumento della copertura contrattuale del 10% è associato a una riduzione della povertà tra i lavoratori pari allo 0,5%. Quanto al salario minimo, ormai è previsto in venti degli Stati membri. E solo nei paesi dove sono presenti parti sociali forti, che rappresentano un ampio numero di lavoratori e imprenditori, il salario minimo è stabilito dalla contrattazione collettiva piuttosto che per legge.
Proprio per rafforzare il loro ruolo, la Commissione europea ritiene quindi che le parti sociali debbano costruire relazioni basate sulla fiducia. Per questo, la Ue ha sostanzialmente aumentato il supporto offerto alle parti sociali attraverso il Fondo sociale europeo, in particolare negli Stati che sono entrati nell’Unione nel 2004. Il rapporto sottolinea, infine, che anche a livello comunitario le parti sociali hanno dimostrato che le loro federazioni europee possono negoziare e poi applicare accordi quadro efficaci, come nel caso del telelavoro e del mobbing. LABITALIA
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