Di qui al 2050, solo 32 milioni di persone avrebbero intenzione, o sarebbero in grado, di emigrare. Questo il flusso di forza lavoro tra i 15 e i 39 anni stimato dalle aree migranti, sulla base degli attuali tassi, in seguito alle variazioni demografiche e ai conseguenti squilibri nel mercato dell’occupazione, dove è attesa infatti una riduzione della manodopera, nei paesi già in deficit, di oltre 200 milioni di lavoratori. Uno scenario che, nelle aree con un surplus lavorativo, potrebbe portare al rischio di una grave mancanza di ‘cervelli’ o di ‘braccia’. E, nelle aree caratterizzate da deficit di manodopera, a una bassa mobilità, con un duro contraccolpo per la crescita economica, la fiscalità e la previdenza per gli anziani. A lanciare l’allarme è la ricerca ‘Shaping the future’, un’analisi sulle prospettive a lungo termine per la popolazione migrante e per la mobilità lavorativa nell’area del Medio Oriente e del Nord Africa, presentata dal ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, nell’ambito del Forum P.a., alla Nuova Fiera di Roma.
“Questa ricerca che oggi presentiamo è stata finanziata dalla Banca mondiale e dall’Unione europea e rappresenta uno strumento di lavoro importante per analizzare il sistema migratorio”, ha detto Giuseppe Maurizio Silveri, direttore generale per l’Immigrazione del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, introducendo la presentazione fatta da Leila Zlaoui, della Banca mondiale. Lo studio si riferisce alle migrazioni dall’area ‘Mena’ (Medio Oriente e Nord Africa). Una realtà, quella indagata, fatta di emigrazione ‘povera’, che ha per protagoniste persone che hanno sempre meno possibilità di accesso al mercato del lavoro e che saranno considerate sempre meno utili allo sviluppo economico globale. In Europa, in particolare, nel periodo 2005-2050, è prevista una riduzione totale della forza lavoro che si attesterà sui 66 milioni di lavoratori, di cui 35 milioni con livello di istruzione secondaria. Nonostante la continua concorrenza a livello mondiale per attirare lavoratori altamente specializzati, osserva lo studio, in futuro la maggior parte della domanda si rivolgerà a figure con medie capacità.
E i paesi dell’area ‘Mena’, ai livelli di istruzione attuali, offrirebbero un alto numero di lavoratori non specializzati: nei prossimi 40 anni, la forza lavoro tra i 15 e i 39 anni aumenterà di 41 milioni di unità, soprattutto tra coloro che possiedono un’educazione elementare o inferiore. Una cifra che potrebbe arrivare a 57 milioni, e che sarebbe piu’ in linea con la domanda del mercato, qualora il tasso di scolarizzazione migliorasse. Ma occorrono da 15 a 20 anni per istruire un potenziale lavoratore qualificato dall’infanzia all’età adulta. Ma, avverte lo studio, affinchè l’area ‘Mena’ e l’Unione europea siano reciprocamente complementari, quest’ultima dovrebbe rivedere le sue politiche sulla mobilità lavorativa, mentre i paesi di emigrazione dovrebbero investire sullo sviluppo delle competenze.
“Forti spinte migratorie richiedono un piano ben organizzato - spiega la ricerca - per assicurare che i migranti, i paesi ospitanti e i paesi originanti traggano beneficio dall’aumento della mobilità mondiale”. Dunque, avverte lo studio, “la questione principale per i responsabili politici è: ‘prendere posizione’ o ‘non intervento’”. “Il ‘non intervento’ - si sottolinea - è più probabilmente una mera conseguenza dell’inattività, piuttosto che una scelta politica esplicita e ragionata. Mentre ‘prendere posizione’ comporta una serie di azioni da intraprendere e scelte strategiche da valutare per migliorare l’adattamento alle condizioni mondiali”. LABITALIA
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