Com’è la situazione del sistema di istruzione e formazione in Italia? Carente, lo afferma l’Istat nel suo ultimo Rapporto presentato alla fine maggio, in cui sottolinea "le debolezze del sistema formativo delle giovani generazioni e degli adulti, il quale non solo non fornisce le competenze necessarie per svolgere le attività richieste dalla società della conoscenza, ma conserva le diseguaglianze sociali di partenza”. Vediamo alcuni dettagli dell’analisi svolta dall’Istituto statistico.
Livelli di istruzione bassi
Innanzitutto, lo stato dell’istruzione e della formazione lavorativa, con alcuni confronti europei. Poi, la situazione dei giovani nel mondo del lavoro e in famiglia. I livelli di istruzione della popolazione sono bassi: il 46,1 per cento della popolazione adulta ha conseguito al più la licenza media, contro il 28,5 per cento medio europeo. La tendenza è verso un lento progresso verso la scuola superiore, da ascrivere principalmente alla componente femminile. Però, in questo caso va rilevato l’alto numero di ripetenti e di abbandoni scolastici. Infatti, l’Italia si distingue negativamente nel contesto europeo per la quota di early school leavers, cioè i giovani di 18-24 anni che hanno abbandonato gli studi senza aver conseguito un diploma di scuola superiore: sono quasi il 20 per cento nel 2009.
Bassa partecipazione, bassa qualità dell’istruzione
Giova rilevare, inoltre, la scarsa partecipazione all’istruzione secondaria e terziaria da parte della popolazione di estrazione sociale più bassa. Se, infatti, le diseguaglianze nelle opportunità sono state annullate per quanto riguarda il raggiungimento dell’obbligo scolastico, esse rimangono consistenti sia per il conseguimento del diploma superiore che per quello della laurea (i laureati sono solo il 21,6 per cento dei giovani tra i 25 e i 29 anni). Per giunta, alla bassa partecipazione, corrisponde anche una bassa qualità dell’istruzione stessa: i risultati dell’indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) promossa dall’Ocse mostrano livelli preoccupanti di competenza degli studenti italiani 15enni e collocano il nostro Paese al di sotto dei valori medi dei 30 paesi Ocse.
La distanza rispetto agli altri paesi sviluppati si evidenzia anche per l’utilizzo delle nuove tecnologie. Anche in questo caso vi sono disparità: i ragazzi delle classi sociali più basse non hanno il personal computer in casa e non trovano supporto adeguato nella scuola.
L’Italia registra anche uno dei tassi di partecipazione alla formazione continua degli adulti tra i più bassi in Europa, in particolare per i disoccupati, gli anziani e i possessori di basso titolo di studio. Ciò alimenta un circolo vizioso: chi è già svantaggiato come istruzione scolastica non recupera il divario, che anzi si aggrava a causa di un minore accesso alla formazione continua.
Titolo conseguito e lavoro richiesto, spesso non c’è corrispondenza
Un altro aspetto riguarda la non corrispondenza tra il titolo conseguito e il tipo di lavoro richiesto dalle imprese, che penalizza i più istruiti, portati ad accettare professioni e inquadramenti al di sotto del titolo di studio posseduto. L’Istat distingue, a questo proposito, due gruppi di sottoinquadrati: il primo riguarda oltre due milioni di occupati con un’età compresa tra 15 e 34 anni, con un livello di istruzione medio-alto, spesso con contratto a termine; il secondo riguarda 2,6 milioni di persone di almeno 35 anni ormai inserite nel mercato del lavoro da molti anni, in forte maggioranza uomini, con scarse possibilità di progressione lavorativa. Complessivamente, si tratta di 4,6 milioni di persone, il cui mancato utilizzo nel mondo del lavoro si configura come un grave spreco di risorse umane.
Nè lavoro nè studio, in Italia primato europeo
Anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro (o non lavoro) dei giovani e la loro dipendenza dalla famiglia di origine, l’Istat rileva spunti di analisi molto interessanti.
Nel 2009, poco più di due milioni di giovani (il 21,2 per cento della popolazione tra i 15 e i 29 anni) non lavora e non frequenta nessun corso di studi. L’Italia ha il primato europeo per quanto riguarda il numero di questi giovani, aumentato ultimamente a causa della crisi. I giovani che perdono il lavoro, infatti, vanno ad aumentare questo gruppo che risulta a forte rischio di esclusione sociale. Infatti, quanto più si protrae la permanenza in questo stato, tanto più difficile si dimostra il successivo inserimento nel mercato del lavoro o nel sistema formativo.
Giovani a casa con i genitori, scelta spesso obbligata
Le difficoltà economiche sono anche quelle che condizionano le scelte dei giovani che ancora vivono con la famiglia di origine. L’età elevata in cui i figli lasciano la casa dei genitori è un fenomeno che ha radici lontane e ha caratterizzato il nostro Paese per decenni: la quota dei 18-34enni celibi e nubili che vive in famiglia è cresciuta tra il 1983 (quando erano meno della metà del totale) e il 2000 (60,2 per cento), per poi restare abbastanza stabile. Si tratta, oggi, di sette milioni di giovani. Tra i 30-34enni quasi un terzo risiede ancora in famiglia, una quota triplicata dal 1983. I giovani si trovano, quindi, a vivere in un ruolo di dipendenza “di lunga durata”, ma proprio in concomitanza con la crisi economica, e nonostante quest’ultima, cominciano a manifestare segnali di insofferenza. Infatti, la maggior parte di essi considera la scelta di restare nella famiglia come obbligata per motivi di studio o per non aver un lavoro (o averlo perso). POLITICHE COMUNITARIE
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